lunedì 19 novembre 2012

Scene madri 6 I RAGAZZI DELLA VIA PAL

LE SCARPE FAN CIK CIAK  ( I ragazzi di via Pal )

La mia scena preferita del romanzo I ragazzi della via Pal (A Pál-utcai fiúk di Ferenc Molnàr, 1907 ) si svolge in territorio nemico. Ernő Nemecsek, nove anni, nascosto su un albero dell’orto botanico di Budapest ascolta il falso amico Gereb che assolve al suo ruolo di spia delle Camicie Rosse, li consiglia su come conquistarsi il grund, il cortile dei giochi. Avrebbe dovuto restare a casa, Nemecsek, perché per recuperare la bandiera del gruppo si è ammalato a causa del freddo, ma non ha obbedito. Potrebbe restare zitto, Nemecsek; anche perché la sua Società dello Stucco, ingiustamente, l’ha appena proclamato traditore; ma quando Gereb afferma che nella Società non ci sono ragazzi di fegato Ernő si palesa e si consegna all’avversario: - Ce n’è, invece!
Finora era esitante, Nemecsek, implume. Adesso basta. Il capo Feri Ats intuisce la stoffa del valoroso e pronto gli propone un cambio di banda.
 - Io, mai!
Feri allora torna spietato, sprezzante. Picchiarlo? Troppo facile. Condanna l’ostaggio a una punizione bassa di grado, alta per ridicolo: un bel bagno nel laghetto, ecco che cosa. I due fratelli Pàsztor eseguono l’ordine e le scarpe e i vestiti di Ernő si intridono di quell’acqua gelida della sera che gli sarà fatale.
Durante il supplizio Gereb il traditore fa eco agli sghignazzi e alla fine chiede a Nemecsek se gli è piaciuto.
- Sì, mi è piaciuto – rispose quasi sillabando le parole. -  Ad ogni modo non avrei voluto essere al tuo posto a far le beffe a un ex-compagno indifeso che si trova nei guai. Preferirei restare immerso nell’acqua fino al collo anche un anno intero che complottare col nemico ai danni di coloro che mi credono amico. (…) Lo sapete bene che avrei potuto evitare il bagno, bastava accettare il vostro invito. Ma non ho voluto e non voglio venire con voi, mi potete affogare nel lago, potete picchiarmi a morte, scotennarmi se volete, ma io non sarò mai un traditore come… come quello là…
Nemecsek emerge da quel lago lavato di ogni timore, rovente di ideali e di febbre. Lascia il campo da valoroso, Feri Ats lo comprende. Comanda il presentat’arm, ora che il piccolo se ne va, intoccabile tra i prepotenti e i gregari.
E mentre le punte di stagnola brillavano nel chiarore della luna, i ragazzi serbarono un silenzio assoluto. Si sentirono soltanto  i passi di Nemecsek che rimbombavano sul ponte, allontanandosi. Poi una specie di cik-ciak, di rumore inconfondibile prodotto da uno che cammina con le scarpe piene zeppe d’acqua. Infine nemmeno quello.
Stucco e stagnola, bandiere, bastoni, stracci. Parole piccole: sì, no, mai. Cik, ciak. Elementi minimi che uno può supporre di usare senza impegno e senza guadagno concreto; oppure può crederci, prenderli sul serio, farne esperienza.
Credere non serve a vincere ma a vivere, c’è scritto nel libro. Ho pianto tanto per Nemecsek, in me ha lasciato la sua traccia. Passi saturi di violenza e sconfitta, ma dal suono dignitoso, distinto. Ho cominciato a chiedermi allora come sarebbe stato osare e resistere a mia volta, provando a camminare con le lacrime nelle scarpe, con la paura fin dentro le ossa.

creato da Anna Maddalena Manca — Ultima modifica 13/04/2010 00:09

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