giovedì 22 novembre 2012

DA TANTO PADRE racconto sul sudario di Garibaldi

     Da tanto padre fa parte di un insieme di scritti composti da più autori in occasione di una mostra dedicata alle memorie storiche postrisorgimentali  dell’Archivio Pittorico della città di Sassari di Enrico Costa, dal titolo Reliquie di Sardegna (2010).


Le organizzatrici Simonetta Castia e Stefania Bagella avevano letto il mio romanzo  L’accademia degli scrittori muti, dove è palese l’inclinazione per gli scenari e i toni ottocenteschi: mi hanno proposto l’invenzione di un racconto sul lenzuolo che ha avvolto il corpo di Garibaldi, ora custodito nella Biblioteca del Comune di Sassari. Da loro ho ricevuto indicazioni dedicate e piena libertà di immaginare.

   È curioso l’arrivo del sudario a Sassari. Nel viaggio di ritorno dai solenni funerali di Caprera, il lenzuolo segue “inavvertitamente” il drappo da lutto offerto dal Municipio; in seguito a ufficiale richiesta, la reliquia è donata alla città dalla famiglia del grande estinto. Tanto celebrato quanto negletto, nel tempo il telo scompare, riappare: infine eccolo nel 2007, restaurato per il bicentenario della nascita di Garibaldi. È invece fantasma, ancora, quel velluto nero foderato di tessuto bianco che il Comune fece acquistare e confezionare per la triste occasione, il velluto sul quale nottetempo le dame della città ricamarono in argento: Sassari a Garibaldi.

  Chi poteva averlo preso, il lenzuolo, e perché? Qualcuno che lo voleva unicamente per sé, ho pensato. L’ammirazione feticistica per l’eroe non mi interessava come movente: meglio una passione da cui sarebbe scaturita un’azione individuale significativa. Per nutrire quel desiderio, occorreva una creatura protagonista alla quale fosse sempre stato vietato ogni accesso alla vita di Giuseppe e che avesse la fortuita possibilità di entrare in possesso di una delle sue ultime cose. Una persona senza nome, senza privilegi, ma dinamica e audace in quell’avventura tra Sassari e Caprera.
  A quel punto dell’indagine è bastato leggere i documenti che avevo a disposizione: 4 giugno 1882, il Comune delibera, il sarto confeziona. La risposta era in quella notte di giugno trascorsa dalle signore della città a ricamare. Le signore sono signore, ho pensato, non fanno tutto da sole. Ecco chi sarebbe stata la protagonista. Una cucitrice. Una figlia segreta.

    Ho integrato vero e inventato, come osserverà chi legge il racconto. Ho mescolato. Nel lavorare con elementi storici, c’è sempre molto spazio. Anzi, i dati certi sono un aiuto, fortificano la vicenda, e talvolta – come nel caso della scatola con i capelli di Garibaldi, prelevata dalle memorie della figlia Clelia – sono degli alleati potentissimi. Il divertimento è rispettare i punti fermi segnati dai fatti e scrivere tra le righe.

   La conclusione  “obbligata” della storia del lenzuolo, destinato a diventare cosa pubblica di Sassari, mi ha aiutato a non divagare troppo sulla costruzione dell’episodio privato della cucitrice, che ho racchiuso tra due eventi registrati da Enrico Costa: la prima visita di Garibaldi a Sassari, nel dicembre 1854, e le esequie del giugno 1882, alle quali lo scrittore partecipò in prima persona.

   Volevo una protagonista più moderna del suo mito, più garibaldina di Garibaldi. Non il tipo di donna che in silenzio si cuce addosso il ricordo. Quel tipo l’ho rappresentato con la ragazza sua madre, che agisce e reagisce in modo fisico, che si sente in colpa, si nasconde. Speranza, la figlia naturale del Generale, è più evoluta. Non si vergogna di ciò che è e di ciò che fa, ma è stata quella mamma ombrosa e fuggiasca a crearle un futuro, affidandola all’intelligenza vicaria della signora buona proprio nel momento opportuno.

  In un contesto ufficiale di padri della patria e di alta imbalsamazione ho scelto di parlare di madri amorose e oggetti umili, ma vivi. La forcina per i capelli, il fazzoletto, il filo da ricamo, il cestino. Ho desiderato una narrazione anti-epica e mi è venuta voglia di costruire anche materialmente una versione alternativa dell’oggetto sudario altrimenti così intoccabile, così extraquotidiano, così umoroso di sepolcro.


  Ho creato un libro-lenzuolo, con la stoffa vera al posto delle pagine, come se Speranza per gioco e per affetto usasse i rimasugli dei materiali di cucito per fermare il ricordo, illustrandolo a modo suo con fili e ritagli di tessuto.






Annalena Manca, marzo 2011

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