lunedì 19 novembre 2012

Scene madri 5 PICCOLE DONNE

A me sembrava impossibile desiderare di essere qualcun'altra. Delle quattro sorelle March di Piccole donne, (Little Women, di Louisa May Alcott, 1868) né Meg, né Amy, né Beth. Jo era quella irresistibile.
Le manca sempre qualcosa. Non sta seduta, ma sdraiata. Parla con la bocca piena. Ha guanti macchiati, vestiti non nuovi; rompe i lacci delle scarpe, si siede sul cappello. Se chiede un regalo, sono libri. Se ha tempo per sé, sono libri. Ci piange sopra, ci vive dentro. Li interpreta, a guance rosse, a voce alta; con le dita macchiate di inchiostro prova a crearli nel suo regno, la soffitta. Per trono ha un divano a tre gambe, come unico ornamento una folta chioma di capelli castani che detesta acconciare.
Sono altre, le belle di casa March. Sono altre, le bellezze di Jo.
Schietta di natura, davanti agli obblighi di società si fa da parte per guardare di traverso. A una festa, dietro una tenda troverà un coetaneo simile e dissimile, amore adolescenziale primo e sbagliato. Sembra un incontro tra timidi, ma no. Theodore Laurence detto Laurie, rampollo di buona famiglia, è il finto ragazzo della porta accanto: è solo alle prime armi. Oltre il nome ha bell’aspetto, pecunia, brio, un tratto di ennui. Jo lo ascolta a bocca aperta e a tasche vuote. Che poi, se pure a casa March ci fossero i mezzi chissà se potrebbe fare ciò che le interessa, che è scrivere. Se si oscura dietro la tenda, se si chiude nella soffitta, Jo, è perché ha bisogno di un osservatorio, e di un laboratorio. Altro che timida, cerca un punto di vista e un metodo. Altro che dietro, è fin troppo avanti.

Quando sei mezza bambina e mezza ragazza, stai a sentire certe voci con particolare dipendenza e apprensione. Se da un lato desideri tapparti le orecchie e cominciare a fare delle scelte tue, è difficile riuscirci. Gli altri contano. Gli estremi predominano. I giudizi sono feroci, la solitudine è roba da chiodi e pane quotidiano, contemporaneamente. Ognuno ti dice la sua: la società dice, il cuore dice, i genitori dicono, le amiche dicono. A furia di ascoltare, ti confondi.
Anche Jo sente le voci, eppure non perde se stessa. Nel mondo familiare e sociale stramato dalla guerra civile, cuce la propria bandiera con la carta su cui scrive. Dapprima imiterà, attratta dall’enfasi e dal sensazionalismo. Si accorgerà, col tempo. La vita le guiderà la mano.

In certe trame da Ottocento le stanze all’ultimo piano sono spesso quartiere per le donne senza adeguato senno. Si tratta sovente di signore che non conviene sopprimere, per denaro o per comodo, ma annullare socialmente sì. La letteratura prescrive loro un internato casalingo. Senza mai cambiare aria, alcune prigioniere scrivono a un lettore fantasma, finendo per intossicarsi con il loro stesso respiro.
Quando sei mezza bambina e mezza adolescente, non sono poi tanti i romanzi in cui si racconta che una ragazza è diventata scrittrice senza soccombere in soffitta. Louisa May Alcott, tanto per cominciare, quella angusta stanza in cima l’ha resa parte viva della casa. Ha aperto la porta e ne ha consegnato le chiavi a Jo March. Non sarà sempre una festa, non sarà sempre letteratura, tuttavia la ragazza andrà per il mondo. Si troverà, lavorando, il suo posto al sole, ma anche un angolo protetto e custode dove la società non la acceca, non la frastorna, dove scriverà infine le parole sue.




creato da Anna Maddalena Manca — Ultima modifica 20/02/2010 21:49

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