mercoledì 30 settembre 2015

Elogio del buio - Teatro e scuola nel 2015

Dal 16 aprile al 7 maggio 2016
Rassegna Nazionale Teatro della Scuola
Serra San Quirico (AN)

Personaggio guida: ALBERTO MANZI


Periodico di Informazione sul Teatro Educazione, Anno XIX, N°2, settembre 2015


Serra San Quirico, 1 maggio 2015. Arrivo con l’ultimo treno da Roma, a mezzanotte inoltrata. “Non c’è nessuno che dorme, operatori e scenografi sono tutti su in palestra. Domani c’è Serra Sensoriale, maschere e teatro in giro per il paese. Stanno preparando”. Nella notte calma, allora, so dove andare.

Lasciando il borgo antico, lungo la salita che porta alla palestra-teatro dove ha sede principale la Rassegna, mi domando perché non mi senta stanca, oggi, adesso. Sono stati otto mesi di impegno a scuola con i bambini, le classi mi danno molto da fare, il mio mondo ha problemi di stabilità e sta affrontando i temi di una ennesima riforma senza respiro.
La notte è calma e chiara, e avvicinandomi alla meta vedo sotto le stelle le luci del laboratorio di scenografia. Non mi chiedo niente, non mi preoccupo, non mi figuro frasi o situazioni anche se non conosco quasi nessuno. Andrò, entrerò, e comincerò la mia prima settimana da operatrice teatrale, quella conclusiva della Rassegna.

Da piccola mi aveva colpito molto una poesia che parla dei mestieri che si fanno nelle ore in cui i bambini dormono. Mi piaceva perché dipingeva un mondo in continuo fermento, e nei casi onesti coltivava il senso di una società che si dava la mano. Quando non ci sei tu, c’è qualcun altro che si occupa del mondo, che ti protegge. Poi tocca a te, è il tuo turno, ognuno fa qualcosa, ognuno prepara qualcosa per l’altro. Una pagnotta, una bicicletta, una notizia da scoprire, una canzone.

Tra quei mestieri di buio alcuni sono estinti, o rari adesso. Tra quelli ancora eterni, c’è il teatro. Il teatro è notturno per molti aspetti, secondo me. Lo è nel modo in cui procede. Mascherato, a volte misterioso, meglio senza parole, onirico. Gli adulti lo progettano, ci pensano, lo provano, lo costruiscono spesso di notte, ma il teatro è mistero anche per i bambini, una dimensione oscuramente bella anche di giorno, quando lo fai a scuola. Nella mia scuola, l’aula teatro è l’unico luogo in cui si vede il buio. Un buio che è un’avventura attraversare, mano nella mano.

Come maestra, osservo che il teatro a scuola fa fatica a trovare spazi di calma e di sana oscurità.
La gestione del tempo scolastico, fitto di scadenze e obiettivi, è prevalentemente antiteatrale. C’è - se non lo cerchi e non lo crei - poco tempo per provare, per sbagliare, dunque per conoscersi. Paure, fragilità, desideri, sono difficili da affrontare. I bambini sono incoraggiati a essere brillanti, rifiniti, degni di applauso. Si raccomanda la loro visione su uno schermo. Per questo si cercano testi già pronti, basi musicali, ricalchi di forme televisive. Si incoraggia il riproducibile, il modello adulto collaudato, l’immagine permanente su video e foto. Ma il teatro non è invece scuola di umana impermanenza, anche rispetto alle sue proprie qualità, tracce, testimonianze?

Serra San Quirico, 3 maggio 2015. Officina Europa. Per un contrattempo, il gruppo dei ragazzi che proviene da Valona sta arrivando con un giorno di ritardo. Dopo una notte di viaggio imprevista e faticosa, aspettano ad Ancona, dall’alba. Mi unisco a Ina che è nativa albanese, saliamo su un pullman, andiamo ad accoglierli. Hanno dodici, tredici anni. Il più giovane, dieci. Quando ci incontriamo ci abbracciamo, commossi come se ci aspettassimo da molto tempo, chissà come e ingiustamente - drammaticamente - separati. Avete pianto, ieri, quando vi hanno detto che non potevate partire? Sì, abbiamo pianto, dicono ridendo. In quell’abbraccio, un sollievo e una promessa. Ora la notte brutta è finita, siamo insieme.

Serra San Quirico, 7 maggio 2015. Officina Italia. Con Marta conduciamo il laboratorio. Si incontrano per la prima volta due gruppi, sono adolescenti. Dopo tre quarti d’ora, nel mezzo di una sessione di giochi, una ragazza alza la mano: ora facciamo pausa? Ci guardiamo per un istante, con Marta. Forse neanche ci guardiamo, ci sentiamo. Le nostre conversazioni precedenti sulla necessità o meno di regole, su come considerare l’organizzazione e l’uso del tempo da parte dei ragazzi e dei bambini, quelle conversazioni su cui siamo state anche divergenti, ci vengono in aiuto. Conoscendoci, lavorando, siamo entrate nel buio, parlando dei nostri inciampi presenti e passati. Proponiamo un compromesso: oggi è il primo giorno, forse faremo una pausa, ma più avanti. Provate, però a fare quello che state facendo, e basta. Prendetevi questo tempo soltanto per il teatro. Entrate in una zona buia. Fatelo per voi. I ragazzi accettano. Quando mancano una quarantina di minuti annunciamo la pausa: ed è allora che tutti dicono no, non c’è bisogno, continuiamo che ci piace, la sigaretta la fumiamo poi, tanto ora siamo già amici e ci siamo giù messi d’accordo per stasera, per domani.

Roma, 22 giugno 2015. A scuola, tra maestre, parliamo del prossimo anno. Ascolto gli apprezzamenti per i libri di lettura scelti, corredati di guide, sussidi, schede. Ti trovi tutto pronto, non devi fare niente se non seguirlo. Ascolto in silenzio, nel sole dell’estate piego delle pezze di stoffa bianche per il teatro dell’anno prossimo. Le chiudo nel buio dell’armadio, fino a settembre. Non so che cosa ci faremo, ma lo faremo. In una scuola di copioni preconfezionati, prepareremo una pagnotta, una bicicletta, una notizia da scoprire, una canzone.