lunedì 10 settembre 2012


Corriere della Sera, 9 settembre 2012. Interviene Roger Abravanel, sulla meritocrazia.
In "Stare anche dalla parte degli studenti" , i contenuti in corsivo.
1. Due gruppi si individuano in seguito al concorso per insegnamento bandito dal Ministero. Uno è quello delle persone che da anni lavorano nella scuola ma non sono assunte. I precari. L'altro è quello dei 12 mila che, con esperienza o con gioventù, faranno il concorso mettendosi in gioco.
Commento anche se non sono una maestra precaria, anche se opero in un istituto in cui gli alunni provengono da un ceto medio-alto con buon livello di istruzione delle famiglie. I nostri risultati Invalsi sono oltre la media nazionale. Sono condizioni di partenza irritanti per molti, ma non per questo è bene tacere. Sono una dei 700mila insegnanti di ruolo. Ho 51 anni. Insegno da oltre 20, in seguito a concorso. Quando io ho cominciato, nella mia scuola l'età degli insegnanti andava dai 25 ai 60 annì. Ora - Roma, III Municipio - i giovani hanno 35 anni, e chi ne ha 50 è a metà carriera. Carriera per noi significa solo tempo. ll tempo incrementa, assai modestamente, il tuo stipendio. Sono i figli, la famiglia, la tua malandata salute a farlo, casomai. Non i tuoi risultati.
2. Per gli studenti, più sotto chiamati "clienti" del servizio pubblico il dilemma sarebbe: " preferireste una signora 45enne oggi per merito di un concorso di 10 anni fa, o una giovane trentenne prima a un concorso fatto in questi giorni?'"
Il dilemma è al femminile. La scuola è femmina, qui contrapposta per età. La mezza età sa di superato, l'età trentenne - anche nel paragone non si parla di persone che a rigor di logica e di buon studio dovrebbero essere sotto i 25 - l'età trentenne dicevo, è quella delle energie e della freschezza.
Non basta essere giovani, non basta essere di esperienza. Vorrei che non si cadesse nell'equivoco che l'età di per sè giovi o danneggi. Vorrei dei giovani che possano credere di saper insegnare stabilmente insieme a insegnanti di maggiore esperienza; la qualità della scuola sarebbe assicurata, con un discorso sulla trasmissione del sapere insegnare tra insegnanti.
3. La meritocrazia è morta perché si è sempre pensato ai problemi di chi insegna e non alle esigenze dei " clienti" del servizio pubblico della istruzione ( gli studenti).
Dietro questa osservazione c'è anche la parola "sindacato". Questo è uno dei discorsi più impopolari e difficili da affrontare nel mondo della scuola. Un'altra espressione impronunciabile è "valutazione delle scuole". Ci sono dei tabù ideologici al momento granitici; per motivi anagrafici so che non ne vedrò il superamento. Ci faccio i conti ogni giorno, e sono sempre in perdita.
4. Il concorso è giusto perché avremo insegnanti selezionati, ma il passo avanti è breve perché per i restanti 700mila avremo assenza di meritocrazia. Lacunosa la loro formazione. Soggettivo e dunque disorganico il loro aggiornamento.
La remunerazione non conosce sensibili differenziazioni. I bravi ci sono ma non si sa chi siano.
Gli studenti non scelgono. Scelgono i genitori. La perdita di qualità e stabilità del corpo insegnante è tale e tanta che laddove ci siano maestri e professori che ottengono risultati questi vengono stracaricati di pressioni e aspettative, il loro orario smembrato in più classi perché una presenza anche minima di un docente di esperienza risulta per le famiglie rassicurante. Tutto questo senza modifica del trattamento economico. Dissento. L'apprendimento è fatto di presenze e permanenze, la qualità simbolica serve ai genitori perché si credono sollevati dalla grave ansia reale di non trovare una scuola che funzioni, che educhi e che costruisca. Ma non risolve quasi nulla. E logora chi lavora.
5. Bisogna valutare la qualità dell'insegnamento nelle scuole, per avviare il processo di miglioramento e responsabilizzazione. Ci vogliono criteri oggettivi, per esempio le prove Invalsi, i cui esiti ci dicono quali siano le scuole con rIsultati migliori. Tale miglioramento dovrebbe essere una priorità assoluta del governo, da comunicare ai cittadini. Molto importante rendere pubblici i risultati delle prove Invalsi, così le famiglie avranno riferimenti oggettivi su dove dirigersi per l'iscrizione dei propri figli.
Ecco, i genitori scelgono. Devono. Le prove Invalsi possono costituire un dato di informazione. Vero. Nel momento in cui ci dicono chi sono i migliori, però, rivelano anche chi ha bisogno di miglioramento.E se intorno a te tutto è di basso livello? Se la scuola fosse davvero un valore, i dati andrebbero letti anche per provvedere a risanare il malmesso, a fornire a tutti, non solo a quelli privilegiati dal censo e dalla localizzazione, un posto dove crescere e imparare.