lunedì 19 novembre 2012

Scene madri 4 IL DIARIO DI ANNE FRANK

PEZZI DI CARTA 
 C’è una ragazza di tredici anni, quasi settanta anni fa, chiusa in una stanza piccola. Ha un angolo suo dove legge, scrive e racconta. Ha un’amica immaginaria che ha chiamato Kitty. Per passare il tempo, dopo i compiti sforbicia figure dai giornali, le appiccica insieme a foto e cartoline alla parete vicino al letto o sul diario. Spera di essere un giorno finalmente libera e di fare di quel diario un libro. La ragazza si chiama Annelies Marie Frank, Anne a casa, ed è la seconda scrittrice adolescente che ho conosciuto leggendo, dopo Jo March di Piccole donne. Con la differenza che era vera, Anne. Per troppo poco tempo, vera. 

Sapevo che Anne Frank faceva parte di un gruppo di otto ebrei, tra cui i genitori e la sorella, rifugiati dal 1942 in un alloggio segreto al 263 di Prinsengracht di Amsterdam, per sfuggire alla persecuzione. Sapevo che nell’agosto del 1944 i nazisti avevano saputo del nascondiglio tramite una spiata e che Anna era stata deportata al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau prima e poi a Bergen Belsen, dove era morta neppure sedicenne nella primavera del 1945, al principio della stagione della libertà, una tra sei milioni di ebrei sterminati.

Sapevo e leggevo vicinissima, protesa. Leggevo dell’ultima volta di Anne per la strade di Amsterdam. Verso un mondo clandestino, incartata in calze e vestiti portati uni sugli altri per non dare nell’occhio con una valigia, la vita addosso più che poteva. Adesso quasi non riesco ad aprire quel libro davanti ai bambini. A scuola lo racconto, ma è l’unico che non so leggere a voce alta perché ogni frase mi spezza il cuore.

 I bambini e le bambine della mia scuola non mancano di nulla. Hanno a casa un generoso corredo per il gioco, dal curato corpo tecnologico. Hanno in classe costruzioni, pupazzetti, pentoline. A me piace quando prendono la carta, soprattutto. Disegnano, colorano, ritagliano, incollano. Giocano al giornale, al ristorante, all’ufficio, all’aeroporto, al gioielliere, alla banca. Scrivono segreti, mappe del tesoro.
 Quando ho visitato il 263 di Prinsengracht, data l’ora tarda ho avuto modo di entrare in camera di Anne quasi da sola. Oppure così è il ricordo, gli altri sono scomparsi davanti al muro gialligno con le foto degli attori, le cartoline, le riproduzioni d'arte, i ritagli di giornali illustrati. I suoi. I pezzi di carta di Annelies Marie Frank.
La scrittrice giovanissima già riscriveva per trasformare; annotava, studiava, organizzava in modo critico il suo mondo di parole. Si augurava una dose sufficiente di talento per il futuro. Tutta la scrittura di Anne risplende di futuro: nel tono, nell’atteggiamento, nel desiderio di avere parte, nell’impegno a volere testimoniare, gridare finalmente, dopo.
Sei milioni di ebrei. Il doppio, di più, per chi prova a fare il conto impossibile di tutti gli altri perseguitati. E quante canzoni non cantate, tele vuote, strade vuote. Pagine bianche che hanno perso il futuro e non sono diventate poesie, barche, palline, lettere d'amore. Non apro nessun libro davanti ai bambini, oggi. Li guardo che giocano, con pezzi di carta.



creato da Anna Maddalena Manca — Ultima modifica 09/02/2010 12:35

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