giovedì 22 novembre 2012

sul romanzo con Claudio Morandini


Dopo la lettura del romanzo  L'accademia degli scrittori muti  lo scrittore Claudio Morandini mi ha proposto alcune domande a distanza, pubblicando le risposte sul suo sito Iperboli, ellissi:


C.   Nel tuo romanzo si coglie subito un'attenzione meticolosa per la lingua. La tua scrittura è insieme estremamente precisa e intensamente evocativa. Numerosi riferimenti alla lingua, alle parole, alla scrittura, innervano anche la trama del romanzo. Da dove nasce questa particolare esigenza espressiva?

A.   Io direi semplicemente che l’attenzione c’è. Lavoro con puntiglio per ottenere aderenza alla scena, al tono, al tipo di lessico e andamento di discorso di ogni personaggio, ma non ho questa percezione di precisione della mia scrittura realizzata.Rileggere e riscrivere è uno degli aspetti della composizione che amo di più, alimentato da un elemento biografico: dove scrivo, abita permanente il tema dell’artista autodidatta con poche connessioni sociali. È quel che mi sento. Questo significa che certe volte mi perdo nel controllo degli esiti, e raffreddo la pagina. A volte mi manca, la frequentazione, l’abbrivio di qualcuno “ passato di là” con cui confrontarmi direttamente. Questo vuoto riguarda la narrativa. Per il teatro di base, invece, ho scritto e scrivo copioni con animo più disinvolto, per laboratori con giovanissimi. Ma non sono cose davvero mie, è il gruppo, così penso. Lo stesso per la scuola: come insegnante, ho collaborato con agio per molti anni a una rivista specializzata sulla pratiche didattiche, dove tra l'altro ho imparato molto rispetto alla redazione dei testi, alla revisione, all’economia nella comunicazione.
L’aspetto di pulizia mi piace sempre come intenzione, la cosa mi dà parecchio da fare. Non è sempre un bene: ho la tendenza a togliere troppo,  per dare centro a quel che secondo me è essenziale. Così divento ellittica; oppure mi prende una certa presbiopia stilistica e strutturale, guardo tanto la frase, il paragrafo e perdo di vista l’insieme. Le mie prime stesure possono essere faticose per il lettore, per non dire deludenti. Lo dico per provata esperienza.


C.    Come ti senti in rapporto con il panorama letterario, o narrativo, o editoriale di questi anni?
A.     La mia casa editrice attuale si trova a Nuoro. A Roma, dove vivo, non frequento scrittori. Ho amici artisti, ma non si occupano di narrativa. Per citarmi, sono una scrittrice alquanto muta, nella società letteraria.
Mi piacciono gli incontri in cui si va a progettare o realizzare qualcosa, e quando capitano sono disponibile. Mi piace agire socialmente per portare non me, ma occasioni umane di lettura e scrittura. Mi piace fare la maestra, per questo motivo, e non solo. Sono attratta dalle persone che sono storie, lettori e scrittori. Scruto i bambini: che cosa saranno?
C’è più di una strada che mi ha sperso, se sono arrivata a esordire a 47 anni, quasi venti anni dopo aver lasciato la Sardegna. Eppure in una certa lettera di addio dicevo vado a Roma perché voglio fare la scrittrice. Il percorso ha compreso - mi è costato - anni e anni dedicati all’impegno personale e lavorativo su altri fronti. Ho trovato scuole che mi hanno consentito di fare esperienze molto variegate, con bambini generalmente interessati allo studio; ho fatto parte di gruppi attivi sia sulla sperimentazione didattica che sulla gestione di istituto. Tutto questo forse non mi induce a sentirmi parte di conversazioni e rituali che sono di mera esposizione di sé. Mi piace concretizzare. E poi una constatazione: insegnare orienta la giornata e l’energia verso certi orari, gli artisti osservano ritmi notturni che non posso seguire tanto. Ma l’assenza del circolo dei pari mi protegge dall’eccesso di egocentrismo. Sento che la scarsezza di tempo mi serve, come sento che mi strozza. So che il lavoro limita la mia libertà espressiva, ma protegge la mia dignità di persona e la mia autonomia. Vedremo. Mi piacerebbe scrivere uno stesso libro con altre persone. Riguardo all’atto dell’ideare, mi sento molto ricca. Ho progetti, alcuni non di narrativa vera e propria. Per quanto riguarda il panorama italiano, non sono una lettrice informata. D’altronde non mi interessa esserlo. Ho i miei preferiti, indubbiamente, che rileggo d'abitudine per rifinire il lessico e aiutare l’orecchio, quando cerco la mia musica. Seguo qualche uscita, anche con attesa, sebbene i miei gusti primari siano di marca anglosassone - posso leggere anche in lingua originale. Vivo di percorsi associativi, che intreccio con visite in libreria e qualche lettura di inserti specializzati. Confesso che raramente prendo un libro perché qualcuno me lo consiglia. Mi faccio guidare dalle mie passioni e da una certa forma di caso, che caso non è.


C. In molte pagine moduli il senso del mistero e dell'attesa, con un amore per i dettagli che non appartiene più alla nostra epoca piuttosto impaziente. Quali sono i tuoi modelli letterari?
A.  Per l’”Accademia” penso per prima cosa alla produzione vittoriana, e immediatamente pre-vittoriana. Non parlo solo di letteratura, ma di saggistica, di architettura, abbigliamento, giardinaggio. Sto estendendo e rimodellando in continuazione questo campo di ispirazione, che ora mi accompagna in modo diverso mentre scrivo un nuovo libro. Cercherò di spiegare cosa intendo elencando alcune caratteristiche, senza specificare gli autori, tuttavia ricordando che nel gruppo ci sono autrici che sono per me un esempio di vite scritte ( parole non mie ), che vanno a fondersi nei loro libri.
-    Molteplicità di storie e personaggi, che nel corso del tempo entrano tutti in relazione. Senso
sociale interno al libro. Quindi, anche studio della trama, in cui sono importantissimi certi giochi del caso.
-    Assetto teatrale. Dialoghi significativi, dinamici. Ritmo, perciò teatro, e musica.
-    I luoghi sono personaggi, le cose sono storie, i nomi sono profezie. Tutto è funzionale:  la descrizione, ogni parola, è vicenda che avanza, nella percezione del personaggio che la porge, nella strategia del narratore che la tesse.  [ Continuo a non condividere, quando a scuola un insegnante di italiano dice: “ ora lavoriamo sulla descrizione, poi passeremo al testo narrativo”: che significa?]
-   Intreccio e interferenza di scritture diverse. Voci. Lettere, biglietti, diari, memoriali, dialoghi, ma anche oggetti. Gli oggetti scrivono.
-  Tipi di personaggi “ forti” - donne soprattutto - dentro contesti apparentemente deboli o ordinari. Per faccende di
carattere o per perigli della sorte, non succedono cose di tutti i giorni. E che sempre, sempre, il lettore possa comunque dirsi :perché no?
-     Persistenza e insistenza di un senso continuo di proibizione o inibizione che è narrazione in sé, conflitto. Le famose gambe dei tavolini coperte fino al pavimento. Io, come scrittrice, mi colloco sotto quel tavolino. Un luogo in cui ascoltare inascoltato i passi di altre gambe coperte e asservite. Tutti restano portatori della propria nudità, colpa o avventura che sia.
Se posso, io scrivo preferibilmente scalza.



C.    Si avverte in molte pagine una sorta di impegno pedagogico, soprattutto nel carattere della protagonista, nel suo modo di porsi con gli altri. È un riflesso della tua professione di insegnante, o anche, come dire, una tua idea di letteratura?
A.   L’ho già detto, a me l’impegno piace, mi piace vedere le cose realizzate, anche se lavoro in un ambito in cui il metodo e la cura sono amministrati nella crescente indeterminatezza. Mi accorgo però che continuo a rigenerarmi non grazie al senso del dovere o alla soddisfazione del risultato ma in virtù della frequentazione di un mondo, quello creativo.
Nella mia storia parlo di sopravvivenza, di salvaguardia di sé come nucleo anche disordinato ma libero. Parlo anche di una cosa che conosco altrettanto bene, che è la necessità pratica di gestire la propria esistenza in un terreno sociale che ha le sue regole, con le complicazioni che si verificano quando quelle regole non rispondono alla nostra visione.
Sono convinta del valore civile dell’istruzione, vedo la lettura e la scrittura come alleati per dare relazione con sé e visione dell’altro. Le parole vanno dette, la cosa difficile è creare e mantenere con esse un rapporto che onori il senso di mistero generale che percepisco, anche il senso di impotenza e di indefinitezza. In questo senso non ho assolutamente la sensazione che quello che scrivo sia subito appropriato, né che però muoia alla nascita; non provo dispiacere alcuno nel separare da me i miei scritti. Non vedo l'ora che siano pronti perchè qualcuno li legga. In questo senso, la poesia di Emily Dickinson  A word is dead è la mia idea di letteratura, ma anche di lavoro.
Teresa vuole offrire questa opportunità di istruzione ai ragazzi perché semplicemente, quella è stata la sua opportunità. Perché, da scrittrice, crede nel potere superiore della parola. C’è poco da fare, ognuno tende a insegnare quello che sa, anche se dovrebbe insegnare quello che non sa.
Maddalena ha avuto modo di elaborare un pensiero di livello diverso, sulla molteplicità delle chiavi offerte alle persone per realizzare la propria esistenza. Non è quel tipo di narcisista che vuole che i figli divengano artisti. È una persona cresciuta in cattività che desidera la libertà , propria e altrui, una libertà che non passa attraverso il lavoro come per Teresa, ma attraverso il tempo. È attraverso il tempo che Maddalena si evolve come artista, che ritrova anche lo spazio, la formula visiva appropriata.
Perciò, scrivendo o tacendo, la mia idea di letteratura non è altro che l’idea su quel che le parole e i fatti e le cose dischiudono o imprigionano. Le parole è appassionante cercarle, trovarle, e dirle, anche se ci si mette un mucchio di tempo.


A word is dead
When it is said,
Some say.
I say it just
Begins to live
That day.

Emily Dickinson

Nessun commento:

Posta un commento